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Cannabis, cinema e costume

Cannabis, cinema e costume

Di: Pippi Contini Culture

Il cinema è una forma di testimonianza di come usi e costumi, società e modi di vita, cambino con il passare del tempo. Da quando il cinema è nato, abbiamo visto migliaia di volte attori e attrici fumare in maniera disinvolta, nervosa o rilassata, una sigaretta durante una scena.

Questo perché il tabagismo è stato accettato da tutte le società ed è quindi scontato rappresentarlo come mezzo con il quale una persona può esprimersi in determinati momenti, affidandosi ad una droga legale.

Ma pochi sanno che l’uso del tabacco (importato in Europa da Cristoforo Colombo) è stato per un lungo periodo vietato in molti paesi. Lo zar Michail Fedorovic, nel 1600, impose la condanna capitale per i consumatori e lo stesso provvedimento fu preso anche da Murad IV, Sultano dell’Impero Ottomano nel 1650.

Ugualmente abbiamo visto in migliaia di film, attori ed attrici sorseggiare bicchieri di vino, cocktails o superalcolici, personificando soggetti abituali ed integrati nella società, siano questi sommelier o alcolizzati, in virtù dell’accettazione collettiva dell’uso dell’alcol, altra droga legale convenzionalmente accettata.

Ma anche in questo caso vanno ricordati i tempi delle persecuzioni contro i consumatori operate durante il periodo proibizionista americano e che ancora perdurano in molte nazioni islamiche, dove in alcuni casi è prevista la condanna a morte anche per aver bevuto un solo bicchiere di sostanza alcolica.

Con il passare del tempo, quindi, quando l’uso di una sostanza è diffusa e condivisa, questa viene normalmente trasportata nelle forme artistiche e nel cinema in primis.

Riscontriamo però una forte contraddizione tra ciò che il cinema rappresenta come uso e costume sociale e ciò che invece rimane inderogabilmente vietato, come per esempio la cannabis.

La contraddizione risulta ancora più palese se paragoniamo le pellicole sulla cannabis che venivano prodotte negli anni ’30 e fino agli anni ’60, in piena campagna antimarijuana e che sul filone del pericolo sociale, dipingevano il consumatore come predestinato alla follia omicida, con quelle prodotte e commercializzate dal ’68 ad oggi, dove invece, nonostante i divieti e le leggi proibizioniste, l’uso della cannabis viene mostrato come elemento socializzante, introspettivo, capace di provocare innocente ilarità o portare a percorsi interiori.

Sono migliaia i film, di tutti i generi, in cui compare una canna, un bong o un chilum e questo non scandalizza più nessuno, vediamo per esempio, scene in cui l’uso della cannabis è in relazione con la ricerca interiore (Easy Rider – 1969), altre con una ricerca di evasione (Taking Off – 1971), altre ancora come una medicina per sopportare le difficoltà quotidiane e la frustrazione che queste talvolta comportano (Dalle 9 alle 5 …orario continuato – Nine to five- 1980 o Eyes without shut – 1999) per arrivare ad una cinematografia più attuale e che stupefacentemente ci mostra come proprio dove la legislazione anti cannabis è più intransigente il suo uso viene disinvoltamente manifestato, come ad esempio in tutti i film di Gabriele Salvatores, dove la cannabis compare sempre, sia in chiave filosofica e sia in chiave ludica, da Marrakesh Express a Mediterraneo, da Puerto Escondido ad Happy Family.

Dalla Francia, altro Paese irriducibilmente proibizionista, è arrivata qualche anno fa una deliziosa pellicola, Paulette, che al contrario del finale della famosissima pellicola “L’erba di Grace” in cui la protagonista dopo aver coltivato piante di cannabis si pente, ci offre una soluzione alternativa, quella di emigrare dove viene praticata la tolleranza senza rinunciare al piacere di perseguire il proprio stile di vita con le relative convinzioni.

Può sembrare un azzardo, ma si può paragonare quanto sta avvenendo in campo cinematografico e letterario in questi ultimi decenni, ad una sorta di Rinascimento, un periodo in cui, in piena era bigotta, i pittori di tutta Europa non potevano esimersi dal dipingere e scolpire le forme anatomiche dell’uomo e della donna, determinando con le loro opere il cambio dei tempi e delle idee.

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